martedì 28 aprile 2015

Il buco nero del thriller


Attivando le promozioni del KDP di Amazon mi sono reso conto di come il genere a cui una storia appartiene può influenzare i download. Sai che scoperta, be’, ho voluto ragionarci su.
Nelle vecchie librerie, quelle dove si andava una volta, dove si poteva prendere in mano i libri e sfogliarli, dove il commesso ti guardava male...cosa? Ci sono ancora? E addirittura c’è ancora gente che le usa? Incredibile...dicevo, nelle librerie tradizionali sopra gli scaffali campeggiano i cartelli dei vari generi. Grazie a questi cartelli uno può orientarsi meglio e cercare con più facilità il libro che preferisce. Più la libreria è piccola, più le divisioni sono grossolane. Più la libreria è grossa più le divisioni sono sottili. Anche in un mega store mastodontico tuttavia, i generi sono suddivisi in modo strano. C’è una letteratura che ipotizzo i gestori considerino “seria” o “impegnata” la quale viene raggruppata tutta insieme in un macro-genere di solito definito “narrativa”. Qui dentro c’è di tutto, basta che sia una roba riconosciuta dalla critica-massa come seria/impegnata. Troviamo infatti 1984, Il nome della rosa, Dracula e I Malavoglia tutti mescolati insieme. Poi ci sono le sezioni dedicate ai generi. Thriller, giallo, fantasy, horror e fantascienza. A volte si trova anche rosa, oltre non si va mai. Questi sono i generi. Perfetto. Guardando l’ampiezza dell’area di scaffale riservata ad ogni genere si capisce che il thriller domina senza scampo, mentre gli altri tutti insieme stanno sulla parte rimanente dello scaffale. Come mai succede questo? Ovvio, perchè il thriller vende di più, è il genere più ricercato e quindi c’è più offerta. Questo invece, perchè succede? Be’. È molto meno ovvio, anzi, è quasi un mistero. Per capirlo si dovrebbe prima stabilire se l'attrazione del thriller è dovuta al thriller vero e proprio o alla massa informe di sotto e sopra generi che ingloba. Io credo che più o meno il successo del thriller sia dovuto al thriller vero e proprio, e non all’inglobamento, che s’è verificato nel tempo per questioni commerciali. La struttura del thriller, concepita per trascinare il lettore, ha il suo peso, la verosimiglianza, la pseudo realisticità degli eventi, anche. A mio parere il thriller è il genere meno “profondo” tra quelli esclusi dalla narrativa seria. Non ne vado matto, anche se lo leggo, credo che oramai siano fatti tutti con lo stampo e che non s’addentrino troppo poco nell’essere umano. Forse la sua superficialità dipende proprio dall’eccessiva inflazione che ha subito negli anni. È evidente che quando un genere tira così tanto e così a lungo si annacqui, si diluisca, e ciò ha contribuito a farlo diventare il genere di riferimento per lo svago. 
Su Amazon come siamo messi? Esattamente allo stesso modo. Amazon riproduce la classica divisione delle librerie tradizionali, forse con un dettaglio leggermente maggiore, ma comunque non come ci si potrebbe aspettare da uno store online che non ha problemi di gestione dello spazio. È strano come, quando si pubblica un ebook, si possa scegliere tra un sacco di sotto categorie che poi non compaiono più durante la navigazione normale nel catalogo. Mah.
Anche qui il thriller domina. 
Di recente ho attivato la promozione gratuita del mio ebook La Madunina, per due giorni. Delle cose che ho pubblicato finora questa è l’unica che ho inserito anche nella categoria thriller. Rispetto alle altre promozioni attivate in precedenza su altri titoli, storie di genere horror o azione/avventura, ha ottenuto molti più download, e con molta meno spinta da parte mia (segnalazione su due o tre gruppi google e basta). L’essere rimasto per due giorni nelle prime posizioni della categoria thriller ha dato molta più visibilità all’ebook, proprio perchè lì ci gira più gente. Molti potranno ritenere questa cosa una banalità, una cosa ovvia, e lo è, ma si tira dietro dell’altro. La Madunina non è una storia thriller nel senso classico del termine, anzi, è molte cose,(fanta-horror, pulp, azione, distopia pure) ma thriller lo è proprio per un  pelo. Tuttavia, inserendola lì, ha ottenuto benefici. Che cosa mai mi impedirà in futuro di “piegare” il genere di appartenenza delle mie storie per farle rientrare nella categoria thriller? Se farlo mi da benefici? E perchè non ne dovrebbero approfittare anche tutti gli altri, editori compresi? Tutto questo comporterà una sempre maggior confusione del genere, il quale finirà col fagocitare tutto, tipo buco nero.
La conseguenza sarà sempre maggior diffidenza negli altri generi? I quali diventeranno sempre più di nicchia e calpestati da tutti? Oppure alla lunga gli darà maggior prestigio e risalto, o anche solo dignità? 
Le divisioni in genere è importante che siano chiare e fatte bene, altrimenti creano solo confusione e sono dannose. Non vado matto per queste divisioni, anzi, credo che il massimo sarebbe la loro scomparsa. Visto che una divisione fatta bene pare impossibile, allora sarebbe meglio eliminarla del tutto. Una storia è una storia. È bella, è brutta. Ci piace, non ci piace. Il resto conta così tanto?

martedì 21 aprile 2015

Tre grandi misteri di Quentin Tarantino



Un regista grandioso, il più influente degli ultimi anni, fantasioso, estremo, creatore meraviglioso di dialoghi, ovviamente con i suoi grandi misteri. 



Cosa mi combini Bud?


Il primo mistero riguarda il film Kill Bill, che considero da sempre un unico film, almeno dal punto di vista narrativo. 
Il mistero è l’atteggiamento di Bud nei confronti del suo datore di lavoro Larry. Proprio non si può capire. 
Bud è un assassino spietato, un killer, abile ed esperto almeno quanto gli altri elementi della squadra Vipere mortali di cui fa parte. Per motivi sconosciuti la squadra s’è sciolta e ogni membro s’è fatto una vita propria. Bud è finito a vivere come un disperato in una roulotte scassata in mezzo al deserto. Prima lavorava in un autolavaggio, dove gli permettevano di arrivare in ritardo e ora lavora come buttafuori nello streap bar di Larry. Già queste sono cose strane. Il motivo per cui uno che giri per il mondo ammazzando persone e guadagnando grosse somme di denaro vada a finire in una roulotte schifosa non è molto chiaro, tuttavia si può accettare, la vita è strana. Ma come possa, un uomo del genere, sopportare certi insulti e maltrattamenti da un pappone qualsiasi, no, non si accetta. Bud, nonostante il physique du role non ci sia per niente e non ci sono elementi espliciti che lo facciano capire, deve essere un maestro di arti marziali, deve aver portato su e giù i secchi sulle gradinate del tempio di Pai Mei, sfondato tavole di legno a cazzotti e mangiato riso scotto e scondito. Deve saper maneggiare la spada di Hattori Hanzo che a differenza di quanto afferma s’è guardato bene dall’impegnare. Forse prima era più atletico, chissà, ora è un panzone, ma dovrebbe pur sempre essere una macchina da guerra, uno che è meglio non far incazzare, le tette di Beatrix, grandi e belle, ne sanno qualcosa. E invece? Accetta le angherie del datore di lavoro, si toglie quel cazzo di cappello, pulisce cessi pieni di acqua e merda da tutte le parti, subisce tutto abbassando la testa come uno scolaro con la coda di paglia. Com’è possibile? Cosa c’è dietro? Non lo so, non ho nemmeno un ipotesi che stia in piedi. Insomma, Bud mi pare proprio uno che se riceve un favore questo non significa che dev’essere trattato di merda, altrimenti può infilarselo nel culo il suo favore. I maltrattamenti di Larry mi sembrano ben superiori a qualcuno che ti abbaia addosso gli ordini. Ma niente, Bud subisce tutto in silenzio.


Il carnevale di Quentin


Il secondo mistero riguarda il film Django, e riguarda proprio la piccola interpretazione di Tarantino nella parte finale della storia. Jamie Foxx viene scortato da tre pistoleri disgraziati verso la miniera nella quale dovrà passare il resto della sua breve schifosissima vita a spaccare pietre. Uno dei tre pistoleri è Tarantino. Già da qualche anno il nostro Quentin non è più il ragazzo simpatico e spudorato, alto e magrolino, Jimmy insomma, che compera roba costosa, non cagate come Bonnie, bensì è pian piano diventato sempre più simile al Richie trasformato in vampiro al Titty Twister. Bolso, goffo, con una testa piuttosto grossa, diciamo che gli è successo esattamente quello che succede al vino. E cosa c’è di male? Assolutamente niente, tutti invecchiamo, cosa ce ne frega. 
Il pistolero interpretato da Tarantino quindi è un omone barcollante che ricorda lo Zio Zeb ma senza le frange. Il mistero sta proprio qui: come cazzo dobbiamo prendere questa interpretazione? 
Partiamo dall’abbigliamento. In seconda elementare, mi ricordo benissimo, per carnevale mi sono travestito da cow-boy: cinturone di cartone con fondina e cartucciera con tanto di proiettili di metallo, pistola a petardi, gilet di pelle, camicia a quadri, cappello di cartone ricoperto di stoffa. Mi ricordo perfino che raggiunta la piazza del paese al seguito della fila di carri colorati salutai mia zia che era sul balcone di casa sua, con una bella raffica di pistolettate. Ecco, come cow-boy ero molto più bello e credibile io che Tarantino in Django. Com’è vestito? Chi gli ha procurato quella roba che ha addosso? Stiamo parlando di un regista che ha fatto della cura maniacale nei dettagli uno degli elementi del suo successo. Questa cura è visibile in tutti i fotogrammi di tutta la sua filmografia. Questo pistolero invece non si può proprio guardare. Vestiti nuovi, rigidi, lindi, privi di qualsiasi caratterizzazione, faccia fissa, sguardo perso, come se aspettasse l’imbecco per la battuta. Infatti non c’è solo la faccenda dell’abbigliamento, anche la recitazione è così così. Nessuna battuta, poca dinamicità, poca presenza. Insomma, di solito le sua piccole apparizioni lasciano il segno, sono piccole perle. Conoscendo la sua attenzione potrebbe essere perfino una cosa voluta. Per qualche ragione ha voluto dare questo taglio scandente al personaggio, rendendolo quasi una patacca, un pagliaccio. L’abbigliamento è particolare in tutto il film. A parte rare eccezioni siamo di fronte a una sfilata di capi perfetti e sgargianti anche quando non dovrebbero esserlo. Perfino le coperte schifose e puzzolenti che si tolgono dalle spalle gli schiavi sono sgargianti. Siamo lontani chilometri dalla polvere di Sergio Leone. È una scelta, che s’abbina alla fotografia, portata avanti per tutta la pellicola, ma il pistolero va oltre questa scelta. Per me resta indecifrabile. L’umanità di Jimmy, con la sua vestaglia e quel sorriso, o la freschezza di Mr Brown, o il barzellettiere desperado. Qui abbiamo di fronte un pupazzo interdetto, che non so proprio come prendere.


Dove cazzo va Marsellus?


Il terzo mistero è presente nel grande film capolavoro: Pulp Fiction
Butch se ne sta tornando tutto contento al motel per recuperare Fabien, la sua odiosetta compagna. Ne ha combinate di tutti i colori, una cazzata dietro l’altra, e ancora ne deve combinare. E chi ti incontra al semaforo? Marsellus Wallace. E qui il grande mistero è proprio quello riassunto nel titoletto qui sopra. Dove cazzo va Marsellus? Cosa ci fa a piedi in giro per il paese? Con in mano roba da mangiare, probabilmente una torta e due bicchieri di caffè? 
Allora, Marsellus è miliardario. Vive in una villa enorme a Hollywood con piscina e un impianto di video sicurezza che non hanno nemmeno le banche di Zurigo. È un boss della malavita di Los Angeles, proprietario di locali notturni, controlla giri di droga, combina incontri di pugilato, ha uomini in tutto il mondo, perfino in Indocina. Cosa cazzo ci fa a piedi per strada a un semaforo pedonale uno così? Con in mano una torta e due bicchieri di caffè?
È vero, stiamo parlando di un film iperbolico, iperrealistico, l’eccesso è parte fondamentale della storia e del modo in cui viene raccontata, ma questo non è un eccesso, non è una siringa dritta nel cuore attraverso lo sterno, è più una assurdità al ribasso, un iperbole al contrario, e non un eufemismo, attenzione, ma una forzatura alla banalità, assente nel resto del film. 
Perchè mai Marcellus dovrebbe andare a comperare da mangiare da solo, a piedi, tra l’altro in un quartiere periferico e squallido che non è di certo il suo. Qui ci vive gente qualunque, a pochi metri da dove viene investito c’è un negozio di roba usata. Insomma, sapete chi è Marsellus Wallace? Se questa muore io divento concime per le piante. 
Questo terzo mistero è il più grande. È un mistero completamente narrativo e interno alla storia, come il primo,  che potrebbe però essere risolto da fuori. Tarantino non sapeva come fare per far incontrare Marsellus e Butch dopo il tradimento di quest’ultimo all’incontro combinato, e ha pensato di fare così. Semplice. Peccato che non è da lui, assolutamente. Crea incastri pazzeschi per tutto il film, la solita attenzione maniacale per i dettagli, la perfezione d’insieme, non può aver fatto uno scivolone del genere. Perciò non può essere considerato uno scivolone. Resta allora il mistero, irrisolvibile, di cove cazzo va Marsellus. 

martedì 14 aprile 2015

Il Kindle da un certo punto di vista



Dopo un anno abbondante di utilizzo più o meno intensivo del Kindle, mi sento in grado di dare finalmente un giudizio. È un oggetto esteticamente contraddittorio. Questo di sicuro. Bello e dal sapore tecnologico, con quei tastini un po’ storti e traballanti, o durissimi, lucido e pieno di ditate. Se non fosse per la parte leggermente gommosa sul retro, se fosse stato di plastica dura e liscia anche lì, sarebbe apparso come una cineseria della peggior specie. Invece, grazie alla gommatura e ancora di più al marchio impressoci sopra, l’oggetto acquista una dignità avveniristica.La lettura è riposante, gli occhi non si affaticano per niente, tale e quale leggere sulla carta. Ha anche un suo odorino particolare, alla faccia di quelli che la menano con la storia  del libro tradizionale. Il libro tradizionale ha un buon odore, buonissimo, sono d’accordo, ma anche il Kindle ne ha uno, meno affascinante magari, ma ce l’ha. L’unico difetto forse è che questo buon odorino ce l’ha da nuovo e pian piano svanisce. Non so pensare a nulla di più comodo che scaricare un libro direttamente dal divano di casa.  Già l’acquisto del libro tradizionale dagli store online è stata una rivoluzione, dal punto di vista della comodità, e dei prezzi anche, ma scaricare il libro così, in due secondi, è una cosa che crea quasi dipendenza. Infatti alcuni hanno questa dipendenza.Leggere sul Kindle è anche frustrante. Non sapere mai esattamente quanto manca alla fine di un capitolo mi mette addosso una vera e propria angoscia. C’è sì quella barretta sottile dove sono segnati i capitoli con dei minuscoli trattini, ma non è sufficiente. In base alla lunghezza del testo cambia la velocità d’avanzamento della barretta. Non c’è modo di sapere quando finirà il capitolo, se non proprio verso la fine dello stesso, quando ormai non serve più saperlo. Questa è una cosa che mi infastidisce. Alcuni testi poi, non hanno nemmeno i trattini d’interruzione, così uno si trova di fronte ad un blocco compatto, impenetrabile, con la quale dovrà fare i conti. In certe situazioni provo un leggero senso di nausea, come quando si legge in macchina, o sul pullman. Il fatto che in continuazione penso a quanto possa mancare alla fine di un capitolo, mi suscita il senso di nausea che rovina in parte la lettura. Niente di grave, solo una leggera sensazione. Le copertine tanto utili sullo store, tanto meravigliose sui bestseller cartonati, qui fanno proprio una magra figura. Infatti di default il libro parte già avanti alla copertina, tralasciandola come inutile. Infatti è inutile. Non si vede bene, è scura, con i puntini, non ha praticamente scopo. Posso anche accettare questa cosa, perchè a ben vedere il Kindle non è il libro, il Kindle contiene il libro, e basta. È come un televisore che fa vedere libri.  Questa è una svolta epocale. Una televisione che fa vedere libri. La svolta è solo apparente però, perchè anche il libro normale alla fine era un contenitore. Un contenitore che conteneva un libro solo, racchiuso tra le sue pagine di carta. La carica del Kindle dura un sacco di tempo, tanto che quando poi si scarica lo fa di colpo e ti lascia lì, fregato. Grazie al Kindle ho scoperto molti autori validi, e qualcuno non tanto valido. Credo che sia l’ideale per il mordi e fuggi, letteratura d’intrattenimento e svago, veloce, da pochi euro. Non leggerei mai I Miserabili, anche se è gratis, sul Kindle, perchè sarei ossessionato dalla barretta inchiodata sempre sulla stessa percentuale di progresso.Magari il Kindle, a qualcuno, potrebbe dare un iniziale stimolo alla lettura, quel pizzico di voglia, che prima mancava sempre, di mettersi a leggere. La tecnologia ha un forte fascino, che potrebbe anche far superare lo scoglio iniziale che si pone di fronte al lettore inesperto o addirittura al non-lettore. Una volta, in treno, avevo di fronte una ragazza che voleva attaccar bottone a tutti i costi. Dopo esser riuscita a rompere la mia barriera di resistenza, iniziata la conversazione mi ha detto: “ti piace leggere eh? anche a me piacerebbe tanto leggere, solo che non ho mai tempo”. 



mercoledì 8 aprile 2015

Linee guida per le recensioni su Amazon e compagnia bella




Le recensioni sono importanti. Sono uno dei pochi elementi che fanno prendere la decisione di acquistare un articolo, in questo caso un libro. Quando si ha voglia di leggere qualcosa di nuovo si va sullo store, si cerca, e una volta fatta una scrematura di genere o di qualche altro tipo, cosa si fa? Be’, gli elementi che colpiscono per primi e in modo più superficiale sono titolo e copertina. Spesso m’è capitato di leggere libri incuriosito soltanto da questi due elementi. Qualche volta m’è andata bene, qualche volta no. La prima impressione superficiale data da titolo e copertina ha una grossa importanza, come ho spiegato in questo post, perchè molte persone, non è una critica ma una semplice constatazione visto che non c’è niente di male e lo facciamo tutti chi più e chi meno, non si soffermano troppo sulle cose. Dopo titolo e copertina viene la sinossi. Per vedere di cosa parla il libro con quella copertina così accattivante e il titolo tanto azzeccato leggiamo la sinossi. La sinossi certe volte aumenta la nostra curiosità, altre in vece l’ammazza, rivelando che copertina e titolo sono si interessanti ma che non centrano proprio nulla con il contenuto. Nel primo caso si passa, almeno io lo faccio sempre, a controllare le recensioni. Ed è questo terzo elemento, dopo titolo/copertina e sinossi che ci fa prendere la decisione definitiva. Ci vuole un minimo d’esperienza, che tutti sviluppiamo in poco tempo, per raccapezzarsi in mezzo alle recensioni. Se il libro in questione è famoso e di successo, avrà decine o centinaia di recensioni, tutte autentiche, nel senso che sono fatte da persone qualsiasi che hanno letto il libro e hanno commentato come credevano. In questo caso basta leggerne qualcuna molto positiva e qualcuna negativa per capire che elementi abbiano esaltato gli autori delle prime e infastidito quelli delle seconde. Se si tratta di un libro sconosciuto, di editore sconosciuto, o addirittura di libro auto prodotto, allora le recensioni probabilmente non saranno tutte autentiche. Anche qui, non è difficile individuare quelle troppo entusiastiche e frettolose o quelle drastiche come se l’ebook l’avesse sritto uno scimmione. 
E quando invece la recensione bisogna scriverla? 
Prima di tutto è importante scriverla, e se il libro letto è un bestseller va bene più o meno scrivere qualsiasi cosa. Se invece è un libro di autore emergente/self/sconosciuto, è giusto secondo me seguire alcune linee.
Queste.
Mai cinque stelle. Le recensioni a cinque stelle ormai, grazie all’uso sballato che se ne è fatto, puzzano talmente di marcio che l’odore esce dalle casse del computer. Meglio quattro, che è comunque una valutazione molto elevata, per poi al limite sperticarsi in elogi nel testo. 
Nel caso ci si spertichi in elogi, farlo sempre con un minimo di ritegno. Il ritegno è importante, in tutte le situazioni, e anche mentre si scrive una recensione. Il libro appena letto non può essere un capolavoro come Delitto e castigo o Notte al drive-in.
Non invogliare il lettore a comperare il libro in modo diretto, farebbe puzzare la recensione ancora di più che le cinque stelle. Se la recensione è sincera e parla bene del libro chiunque capirà che sarebbe un acquisto interessante, almeno secondo chi ha scritto la recensione.
No recensioni di trenta/quaranta righe. Credo non le leggerà mai nessuno.
No stroncature. Le stroncature, quelle spietate, sono giustificate solo in un caso: la presa per il culo. Se il libro fa schifo, è noioso, illeggibile a livelli estremi, si può semplicemente non recensirlo, oppure farlo dando una valutazione di due stelle, spiegando che sebbene magari questa o quella intenzione potesse anche essere buona, questo e quest’altro elemento proprio no, non si possono sopportare. Peccato e tanti saluti. 
Nel caso invece della presa per il culo vera e propria si può infierire. La presa per il culo non è una semplice discrepanza di contenuti tra la sinossi e la storia, o peggio tra la copertina e la storia. La presa per il culo è una traduzione col traduttore di Google. È un racconto di sette pagine più altre venti di baggianate a tre/quattro euro. In casi del genere la stroncatura è legittima e pure utile agli altri.   
Ecco le mie linee guida per delle recensioni costruttive.
Andate in pace e recensite tutti.